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DJ CHEYENNE

Dopo una laurea a pieni voti con una tesi su Wedekind, Francesca “Cheyenne” – al secolo Francesca Roveda - non si è più fermata. Dal 1995 al 2002 lavora come conduttrice, inviata, redattrice e autrice per il canale satellitare Match Music Satellite e collabora anche con Odeon TV, Italia 1 e la Rai. Nel 2005 approda a RTL 102.5, dove attualmente conduce “Protagonisti” con Roberto Uggeri. 2004 ha recitato nello spettacolo “Cyrano, se vi pare”, da un testo di Massimo Fini censurato in Rai. Dallo spettacolo è stato tratto il libro omonimo, di cui Francesca è co-autrice con Eduardo Fiorillo e Massimo Fini.

Cominciamo subito con una curiosità: da dove viene il tuo soprannome “Cheyenne”?
Era il 1995 ed ero appena arrivata a Match Music. C’era già un’altra deejay Francesca (Faggella). Così mi diedero questo soprannome, un po’ per i miei tratti somatici, un po’ perché a inizio carriera non ero molto affabile. Visto che mi ha portato fortuna l’ho mantenuto…e adesso sono Francesca “Cheyenne”.

Ma come sono stati i tuoi inizi? Tu non eri innamorata della radio o della televisione?
Non ci pensavo proprio. Studiavo lettere e avrei voluto insegnare e fare la giornalista, cosa che poi in parte ho fatto. Ancora prima di Match Music feci una puntata di “Rockabilly”, una trasmissione dove intervistavo le persone nei locali. Il presidente di Match Music mi vide e mi convocò per un provino. Lo feci controvoglia, solo perché mi avevano detto che c’era la possibilità di occuparsi di cinema indipendente, cultura e controcultura giovanile. Infatti ho curato una rubrica settimanale di cinema e ho organizzato il concorso “100% cinema che non c’è” insieme a Gianni Canova - che allora era direttore di “Duel” , una rivista con cui ho collaborato - e Michele Ferrari, che ora è regista di “CentoVetrine”. A Match Music sono rimasta per dieci anni e nel 2008 sono ritornata a curare il magazine di approfondimento musicale “Territorio italiano”.

Come sei arrivata a RTL?
A un certo punto ho lasciato la tv per riflettere su quello che avrei fatto in futuro. Ho fatto teatro per un anno, poi ho iniziato a collaborare con L’Arena, con una serie di articoli sui deejay, tra i quali la mia amica veronese Valeria Benatti, che mi ha consigliato di propormi all’emittente con cui lavorava, RTL 102.5. Mi ha chiamato l’allora direttore Roberto Zaino e, dopo una settimana, ho fatto la mia prima diretta: era il 2005 ed era la notte in cui è morto il Papa. Superare una prova così difficile è stato decisivo e mi hanno preso subito.

L’ambiente delle radio è più divertente rispetto alla televisione?
A me piace lavorare in entrambi i settori, ma in questo momento prediligo la radio, perché mi ha dato delle possibilità di crescita: in radio impari a essere descrittivo in trenta secondi.

Hai un aspetto fisico notevole. Con la radio, dove è tutto puntato sulla parola, riesci a dimostrare di più quanto vali?
Mi sono sempre disinteressata del mio aspetto fisico…forse perché ero consapevole di averne uno, diciamo “discreto”. Ma non ho mai puntato su quello. Anzi, devo dire che non sono brava a valorizzarmi. Spesso, in certe occasioni, quando sono “tutta apparecchiata”, mi sento dire: “Però, sei un po’ diversa rispetto a come appari tutti i giorni!”.

Non sei mai stata presa sotto gamba per il fatto di apparire in un certo modo?
No, anche perché ho un impatto molto aggressivo e ho un aspetto esteriore che non sempre rispecchia la mia interiorità. Ma preferisco essere presa sul serio, anche a costo di apparire un po’ più dura rispetto a quello che sono realmente, piuttosto che non esserlo presa per niente.

Tu sei poliedrica al cento per cento. Ti piace fare proprio tutto o prediligi qualcosa?
Non mi piace fare tutto. Per esempio, il teatro è stata un’esperienza molto intensa, ma non credo che sia la mia strada. Per fare l’attore è necessario avere una concentrazione totale. La radio invece mi appassiona perché si tratta di musica, che è il leitmotif della mia vita.

La tua tesi di laurea era incentrata sull’”archetipo del femminile nella drammaturgia di Franz Wedekind”. Ma tu ti senti un po’ Lulu?
No, anzi devo dire che Lulu rappresenta tutto ciò che detesto in una donna. Però mi piace perché non si vergogna del suo essere. E’ puro istinto, usa la seduzione per contrastare la ragione maschile, che giudica la donna inferiore. Armi che ovviamente non fanno parte di me e del mio ideale femminile.

Parlaci della scrittura. Dopo “Cyrano, se vi pare”, verso cosa sei più orientata?
Non credo che ci sia bisogno di un mio ipotetico romanzo. Mi interesserebbe di più scrivere qualcosa di musicale, un saggio o una raccolta dei miei articoli. Non certo scrivere le mie memorie. Un conto è essere Jim Morrison, un altro è essere Francesca “Cheyenne”.

C’è una proposta lavorativa che ti sei pentita di non aver accettato?
Non sono mai stata particolarmente ambiziosa. Se lo fossi stata, forse qualcosa in più lo avrei fatto. Ma ho fatto talmente tante esperienze, che ora sono soddisfatta e non rimpiango nulla. Certamente vorrei continuare a scrivere e mi piacerebbe insegnare. Adesso ho fatto un bando di concorso per l’Accademia Cignaroli per insegnare storia della cultura dell’immagine. Sarei contenta di potermi confrontare con persone più giovani, dalle quali si ha sempre da imparare.

Tu ti sei sempre occupata di cultura e controcultura giovanile. Come giudichi la generazione odierna?
Non amo generalizzare, anche se spesso mi capita di scivolare nei luoghi comuni. A volte mi diverto a citare la canzone di Manuel Agnelli degli Afterhours: “sui giovani d’oggi ci scatarro su”, perché rappresenta bene un certo tipo di diffidenza. Credo che grazie alle nuove tecnologie i giovani possano fare molte sciocchezze, ma anche ottenere grandi risultati, molto più velocemente rispetto alle generazioni passate.

Avresti mai fatto un reality show?
Ma sai che molto prima de “Il Grande Fratello”, nel 1996 ho fatto un reality per Match Music? Era un programma molto divertente che si chiamava “Convoy”. Eravamo quattro sciamannati, in viaggio con un camper alla scoperta dell’Europa e ci filmavamo 24 ore al giorno. Certo avevamo delle altre finalità. E’ stata una bella esperienza, ma non la rifarei, perché
io e la convivenza forzata viviamo su dei parametri completamente opposti.

Che opinione hai dei reality di oggi?
Ogni volta che ho detto non farei mai quella cosa, mi è capitato l’opposto, quindi ho imparato a non dire mai “mai”. Certo, se devo fare un’analisi sociologica dei reality direi abbruttiscono, se possibile, gli aspetti peggiori dell’uomo.

Qualche episodio che ti ha divertito o segnato?
Io ho una sorta di diktat: non conoscere mai i propri miti. Non vorrei mai conoscere Eddie Vedder, il leader dei Pearl Jam, il mio gruppo preferito, perché non vorrei rimanere delusa. Però ci sono dei personaggi che mi sono rimasti impressi, come Vasco Rossi. L’ho incontrato più volte ed è sempre uguale a sé stesso. Questa cosa mi ha fatto riflettere. Non c’è possibilità di inganno: o si mette sempre la stessa maschera o è davvero un “poeta metropolitano”.

Non hai dei gusti prettamente commerciali. Riesci a conciliare questa cosa lavorando in radio, dove prevale la musica pop?
Sì, perché ho smesso di avere un atteggiamento snobistico di scarsa apertura nei confronti della massa, che è un po’ il limite della nostra sinistra. Ho capito molte cose, per esempio che “pop” non è sinonimo di commerciale, “pop” è diminutivo di “popular” e va bene. Certo non mi piace tutto quello che mandiamo in onda. Ma bisogna tenere conto del successo mondiale che hanno certi artisti e trovare il buono che c’è in Lily Allen, Nek o Laura Pausini.

Un film, un titolo musicale e uno scrittore che ti hanno cambiato la vita?
“Buffalo ‘66” di Vincent Gallo. Musicalmente “Ten” dei Pearl Jam e anche il loro ultimo album “Backspacer”. Poi ho il mito di Jim Morrison. Trovo che i Doors siano un gruppo molto sottovalutato a livello musicale, anche se sopravvalutato a livello di marketing. Come scrittore adoro Charles Bukowski.

Che rapporto hai con le tue radici veronesi ?
Ottimo, appena posso torno a Verona. Mi piace bere, mangiare, e fare lunghi aperitivi al bar con gli amici. La vita rilassata di provincia mi manca nella Milano iperattiva, anche se non farei cambio.

E la tua popolarità come la vivi quando torni a casa?
Verona è un po’ “nemo propheta in patria”. Se ti riconoscono si girano dall’altra parte. Ma ho imparato ad apprezzare i veronesi anche per questo.

Come ti vedi da qua a dieci anni?
Speriamo non sottoterra! Se dovesse essere, accetto di buon grado, perché fino a questo momento ho vissuto la vita che volevo.

( Intervista di Isabella Rotti )

 

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