Libera, la fioraia del Giambellino che già abbiamo amato nei suoi due precedenti romanzi (sempre editi da Sonzogno), ritorna in “Non si uccide per amore” con un nuovo caso da risolvere.
Un caso doloroso, ancora irrisolto e distante ormai vent’anni: la morte per mano ignota dell’amato e mai dimenticato marito, il poliziotto Saverio Deidda.
A scatenare l’istinto di scoperta che credeva sopito, un misterioso biglietto, scritto da un’altrettanto misteriosa donna, che Libera trova per caso nel taschino di una camicia di Saverio facendo ordine nell’armadio.
Chi aveva scritto quel biglietto che riportava proprio la data del giorno della morte del marito? Com’era finito nel taschino di quella camicia e com’era potuto sfuggire a tante perquisizioni durante il corso delle indagini?
Libera, dopo un ventennio trascorso nella rassegnazione di non poter dare un volto e un nome al brutale assassino, questa volta esige delle risposte per se stessa e per la figlia Vittoria, che, pur di trovare quell’assassino aveva deciso di seguire le orme del padre e di entrare in polizia.
Sullo sfondo di una Milano raccontata con amore e con un nuovo bouquet da realizzare per l’ennesima sposina sui generis che approda al vecchio casello ferroviario trasformato in casa-bottega, la fioraia del Giambellino, affiancata dalla settantenne madre Jole, hippie esuberante, seguace dell’amore libero, si spingerà sino in Calabria dove ci sono segreti da scoprire e vasi da scoperchiare per capire che il nemico forse si nasconde molto più vicino di quanto avesse mai immaginato.
Molto accade tra le pagine del romanzo, che non mancherà di farci sorridere per le bizzarrie di Jole, personaggio iconico della quale ameremo la spregiudicatezza e l’energia così ben contrapposta alla figura di Vittoria, apparentemente dura e bacchettona.
E molti sono i personaggi che perfettamente orchestrati faranno capolino tra le pagine e, di ognuno di loro, ci rimarrà qualcosa: come ad esempio dell’adorato nonno Spartaco, così presente nei ricordi d’infanzia di Libera e ancora oggi così necessario a mantenersi in equilibrio tra vita ed emozioni. Lui che le aveva insegnato a chiamare le cose con il loro vero nome, perché le parole giuste indicano la direzione.
Anche in questo terzo romanzo, Rosa Teruzzi, ci delizierà con l’immagine di fiori, bacche e spezie, ci incuriosirà con la citazione di libri e autori e ci porterà altrove: dalla sua Milano alle Valli della Valtellina e poi giù sino alla Calabria e lo farà sempre con quell’eleganza e quell’ironia che la contraddistinguono, portandoci ad attendere la soluzione del caso e poi di un altro ancora.
G.A.Z Magazine